Christmas Design 2024 Bergamo - Hotel Cappello D’Oro
Data di arrivo
Data di partenza
Ospiti per camera
Adulti Bambini Neonati
fino a 12 anni fino a 3 anni
Convenzione aziendale o codice promo
Inserisci qui il tuo Codice

Uno, due, tre, trenta cappelli d’oro.
Un’ondata di segnali omologhi invade il corso, depositandosi come schiuma sul fianco dei propilei. Una risacca di girasoli dorati guarda nella direzione opposta alla fiera di Sant’Alessandro. Una folla multiforme si avvicina.

Il passaggio infiltrato dai cappelli d’oro schiude la scoperta di un nuovo arrivo: las flores de pascua. Quest’anno ibrideranno il Natale orobico. Guardo gli stop-and-go dei cappelli d’oro in movimento all’unisono. Concentrati al massimo, compongono strette colonne luminose nella nebbia del mattino. Anche a Bergamo sta arrivando il Natale.

È il 12 dicembre 1888. Mi sono alzato da poco, mentre questo spettacolo già si organizza nel grande viale che osservo dalla finestra della mia stanza d’albergo. Ipnotizzato dai motivi ripetuti, provo una strana sensazione.

Il mio lungo viaggio mi ha portato nel nord Europa e ora sto scendendo verso sud. Sono qui per far rivivere il passato azteco. Anche se la Iglesia más conservadora teme un’ibridazione letale, una minaccia ideologica opposta.

Sono partito dal Messico, da Belén, quattro mesi fa. Le radici nomadiche di las flores de pascua si aggrapperanno presto anche alla terra di questo continente. Ombre fantasmatiche di vite lontane si impigliano nei miei capelli, tirandoli, mentre faccio colazione.

Esco in strada. La nebbia depositata tra le colonne dei monumenti si scosta al mio passaggio. E così fanno anche i cappelli d'oro, lasciando che il mio passato si trasformi nel presente di questa città.

Sono entrato nello spazio della fiera per controllare che tutto funzioni come da programma. Il prossimo treno mi aspetta e devo muovermi celermente. Il ticchettio dell'orologio scandisce il mio respiro.

“Signore, si ricorda di me?”
La mano bianca del sacerdote si porge verso di me. Accenno un freddo sorriso.

“Certo, buongiorno. È un piacere ritrovarla.”

Le foglie rosse della pianta che gli aztechi usavano come medicinale disegnano dietro di lui un decoro con rossi sanguigni. Quando una di loro si rompe, lascia fuoriuscire una bava bianca simile a latte. Quel liquido veniva spalmato sul petto delle madri allattanti per aumentarne la produzione di latte.

Osservo l’uomo di fronte a me e immagino un rivolo di quel liquido appiccicoso colare sul suo abito nero, trapassarne il tessuto e essere assorbito dalla pelle.

Che cosa potrebbe produrre in lui l’unguento azteco? Che lingua hanno soffocato i missionari francescani nel XVI secolo quando hanno iniziato a usare il fiore indigeno per decorare i presepi? Quale idioma potrebbe essere imposto al suo credo per alterarlo?

Mentre penso, diversi compratori, oltrepassato il cordone dei cappelli d’oro, acquistano i fiori che si distribuiscono sulla piazza come una macchia di colore fluido. Il fluido nelle foglie troverà strada per riemergere e ibridare la terra che sta toccando.

Anche qui il mio lavoro è ultimato. Fuori dallo spazio della fiera in chiusura, i cappelli d'oro si diradano in forme fluttuanti. Nell'aria fredda del mattino, las flores de pascua stanno per diventare stelle di Natale.

Prendo una foglia di queste piante e lascio che alcune gocce del suo latte scivolino nel mio bicchiere d’acqua. Torno nella direzione da cui sono arrivato, al mio compito preciso, al destino che nessuno qui può comprendere.

Tornerò presto al 2347, dopo che l’integrazione imprevista del vecchio continente sarà definitivamente innestata. Sono venuto fin qui per seminare tracce azteche che rinasceranno nei primi anni 2000 e cambieranno il corso della storia.

Uno dei cappelli d'oro si ferma e mi fissa inquieto mentre apre la porta della carrozza. Sembra indio. Nei suoi occhi un lampo, una traccia di riconoscimento, di intesa.

O forse è solo l'illusione della nebbia che distorce le ombre del mattino.

Top